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I riders e l’emergenza sanitaria

Easy (?) rider

Tra le categorie di lavoratori che non hanno subito alcuno stop durante l’emergenza COVID-19 , in quanto collaterali ad alcuni servizi c.d. “essenziali”, troviamo i riders.

Un fenomeno costante ed indiscutibile delle ultime settimane, è la loro presenza per le strade – sempre più evidente anche grazie alle pettorine e ai portapacchi sempre di colori sgargianti – a qualsiasi ora del giorno e della notte, intenti nella consegna di cibi e bevande negli uffici (sino allo progressiva chiusura a causa dell’emergenza) e nelle nostre case, nelle quali siamo invitati a rimanerci sino a contro ordine.

Mentre gli uffici, le strade e le piazze si svuotano, questi “bistrattati” lavoratori continuano a svolgere la loro attività, considerata ormai preziosa e centrale nella nostra quotidianità in tempi di quarantena.

In un primo momento l’attività dei riders – in assenza di un quadro legislativo che disciplinasse la loro attività – è stata molto superficialmente etichettata quale semplice “lavoretto” utilizzato da studenti e disoccupati per arrotondare.

Invero, il fenomeno ha preso sempre più piede, di pari passo con l’espansione del mercato del “food delivery” e l’aumento dei soggetti che ne usufruiscono attraverso apposite app.

L’espansione del fenomeno e dei soggetti coinvolti, ha fatto sorgere l’esigenza congiunta dei numerosi riders, operativi nelle più grandi città italiane, di valutare e richiedere riconoscimenti di tutele retributive ed assistenziali, anche tramite costituzione di sindacati di categoria.

Il percorso che ha portato all’intervento legislativo a novembre del 2019, è stato molto tortuoso e non ha soddisfatto integralmente nessuna delle parti interessate.

Alcune sigle sindacali hanno supportato i propri iscritti in diverse azioni giudiziarie, tramite le quali si è cercato di ottenere l’accertamento della pretesa natura subordinata del loro rapporto di lavoro ed in ogni caso, un riconoscimento di tutele e garanzie, non ancora disciplinate dal Legislatore.

I primi risultati delle azioni giudiziarie non hanno portato al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, ma ad un riconoscimento di una attività riconducibile alla figura delle collaborazioni etero-organizzate dal committente, ex art. 2, comma 1, d.lgs n. 81/2015, destinataria della disciplina del lavoro subordinato, la quale, si applica alle collaborazioni autonome che siano esclusivamente personali, continuative e “organizzate dal committente con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, così come deciso ad inizio del 2020 dalla Sezione Lavoro della Corte di Appello di Torino.

Tale figura costituisce così, per la stessa Corte di Appello, un tertium genus tra lavoro subordinato e lavoro autonomo coordinato e continuativo, in quanto corrispondente alle concrete caratteristiche dell’attività dei riders in favore delle piattaforme di “food delivery”, i quali – al di là della libertà di opzionare il turno di lavoro e pedalare nella maniera che credono – svolgono la propria prestazione lavorativa secondo modalità di ritiro e consegna dei prodotti stabilite, in via unilaterale, dal gestore della piattaforma il quale definisce, altresì, turni e tempi di consegna, ed in alcuni casi, con la previsione di una penale per eventuali ritardi.

Il Legislatore, nel frattempo, è intervenuto disciplinando tale fenomeno tramite la legge n. 128/2019 (entrata in vigore il 3.11.2020), che prevede importanti interventi in merito a retribuzione e tutela assicurativa.

Ma è un intervento che non convince sul piano della effettiva tutela che era stata annunciata, in quanto il vero limite è che non ridurrà il contenzioso, soprattutto di quei riders, che ritengono di essere lavoratori subordinati a tutti gli effetti.

Prima o poi un giudice del lavoro si troverà a doversi confrontare anche con la valutazione della funzionalità dell’algoritmo e dei suoi riflessi sull’eterodirezione e sulla subordinazione della risorsa.

La situazione emergenziale richiede, a mio avviso, un ulteriore intervento in favore e a tutela di questa categoria di lavoratori, in quanto la disciplina attuale non tiene nella dovuta considerazione – da un punto vista sociale e poi giuridico – l’intero mondo della “App Economy” nella sua globalità.

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