Che fa, concilia?
Per evitare che la conciliazione sottoscritta in sede sindacale per prevenire una lite giudiziale tra un lavoratore ed il suo datore di lavoro, sia impugnata ed eventualmente ritenuta invalida in sede giudiziale, è necessario che il verbale sia sottoscritto nel rispetto delle modalità e nelle sedi previste dalla contrattazione collettiva, con l’assistenza effettiva di organizzazioni sindacali dotate di rappresentatività e con una volontà del lavoratore che sia reale e non viziata.
Sono queste le avvertenze da seguire, di cui si discute ampiamente ancora oggi, nonostante la materia sia ampiamente disciplinata.
Invero, in base all’art. 2113 c.c, «le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 c.p.c., non sono valide» e pertanto, non vi sarebbe necessità di ulteriore dibattito sul tema.
La norma trova applicazione anche ai rapporti di lavoro parasubordinato quali l’agenzia e la rappresentanza commerciale e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Le rinunce e le transazioni del lavoratore, tuttavia, non sono impugnabili (e quindi come si suol dire sono “tombali”), se stipulate in una delle cosiddette sedi protette, previste dall’articolo 2113, comma 4 c.c: ossia in sede giudiziale (art. 185 cpc); in sede amministrativa (articoli 410 e 411 cpcp) in sede sindacale (articolo 412 ter cpc); davanti al collegio di conciliazione e arbitrato (articolo 412quater cpc); o presso le sedi di certificazione (articolo 31, comma 13, legge 183/2010).
Le rinunce e transazioni del lavoratore, in ogni caso, ancorché non stipulate nelle sedi sopra previste o nel rispetto delle modalità stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva, non possono essere più impugnate una volta che siano trascorsi 180 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Per ciò che riguarda le conciliazioni in sede sindacale, in base all’articolo 412 ter cpc «la conciliazione e l’arbitrato delle materie di cui all’articolo 409 c.p.c. possono essere svolti presso le sedi e con le modalità previste dalla contrattazione collettiva».
Questa tipologia di conciliazione, quindi, è incontestabile se è stata stipulata nel rispetto delle procedure e nelle sedi previste dalla contrattazione collettiva (ad esempio il CCNL del Commercio).
Ma che cosa succede se il contratto collettivo non prevede nulla in merito? Il verbale stipulato dal lavoratore con l’assistenza del sindacato è inoppugnabile o no?
Su questo punto la Corte di Cassazione e la prassi amministrativa sembrano ritenere valide queste conciliazioni purché il lavoratore abbia prestato il proprio consenso in assenza di vizi (errore, violenza o dolo) e purché, soprattutto, l’assistenza dell’organizzazione sindacale sia stata effettiva, così da mettere il lavoratore nella condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, e, in caso di transazione, a condizione che dall’atto si evincano la questioni controversie oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo (si veda per tutte la sentenza della Cassazione n. 9006 del 1° aprile 2019).
È necessario, inoltre, che il soggetto sindacale abbia elementi di specifica rappresentatività.
Nonostante ciò, il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 4354 dell’8 maggio 2019, ha affermato che il regime dell’inoppugnabilità previsto dall’articolo 2113 c.c. riguarda le sole conciliazioni sindacali che avvengono presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali più rappresentative, come previsto dall’articolo 412ter cpc.
In mancanza di una norma collettiva di questo tipo, prosegue il Tribunale di Roma, la conciliazione è impugnabile. L’assenza di una specifica disciplina collettiva, infatti, prosegue il Tribunale di Roma, non garantisce una piena tutela del lavoratore anche alla luce dei diritti che lo stesso transige o rinunzia.
Pertanto, il verbale di conciliazione sindacale sottoscritto in assenza di una regolamentazione collettiva in merito, è impugnabile almeno sino al termine semestrale previsto dallo stesso articolo 2113 c.c..
L’interpretazione fornita dal Tribunale di Roma è piuttosto restrittiva e per certi versi criticabile soprattutto alla luce della giurisprudenza di legittimità e della prassi sviluppatasi su questa materia.
In attesa di conoscere gli sviluppi giurisprudenziali in merito, a scanso di equivoci, a parte l’ipotesi della transazione giudiziale, non rimane che affidarsi alle conciliazioni sottoscritte in sede amministrativa, di fronte ai collegi di conciliazione e arbitrato, di fronte alle commissioni di certificazione o in sede sindacale, se la contrattazione collettiva ha disciplinato questa modalità di conciliazione.
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