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Dimettersi e come dimettersi

— Le dimissioni

Dimettersi dal proprio posto di lavoro e recedere dal contratto di lavoro in corso di esecuzione, potrebbe apparire, a prima vista, una semplice pratica burocratica, ma nasconde diverse insidie, a livello procedurale, che potrebbero avere anche un risvolto economico negativo per il lavoratore.
Conoscere le modalità e le tipologie di dimissioni, aiuta ad evitare di trovarsi in spiacevoli situazioni che vanno ad incidere sui crediti di lavoro maturati sino al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.
Le dimissioni sono una facoltà del lavoratore di anticipare la risoluzione del rapporto di lavoro ed è una tematica verso il quale gli enti preposti rivolgono un’attenzione particolare, come dimostrato dall’introduzione delle dimissioni telematiche, che hanno avuto lo scopo principale di combattere il fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco, ovvero la pratica scorretta adottata da datori di lavoro senza scrupoli, che fanno firmare un foglio di dimissioni senza la data per poter così “dimissionare” in qualsiasi momento il lavoratore tenendolo così sempre sotto scacco.

Proprio per evitare questo fenomeno, diffuso soprattutto fra le donne lavoratrici, le dimissioni ora possono essere date solo telematicamente, ovvero attraverso l’applicazione del Ministero del Lavoro denominata Dimissioni Online, ad eccezione di alcune specifiche circostanze.
In ogni caso, quando il lavoratore decide di rassegnare le dimissioni, deve per prima cosa verificare il termine di preavviso dello stesse, termine disciplinato dal CCNL di riferimento ed applicabile al caso di specie, che cambia in base alle mansioni del lavoratore (es. impiegato o operaio) e all’anzianità di servizio.
Nel caso in cui lavoratore dia le proprie dimissioni senza preavviso ovvero in tronco o non rispettando i termini, quindi cessando la propria prestazione prima della scadenza del preavviso, il datore di lavoro può trattenere l’indennità sostitutiva del preavviso corrispettiva, dall’ultima busta paga.
Caso a parte solo le dimissioni della lavoratrice in gravidanza o della lavoratrice/lavoratore nei primi tre anni del bambino. In questo caso si possono dare le dimissioni in tronco, ovvero senza preavviso, ma è obbligatoria la convalidare le dimissioni presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.
La risoluzione del rapporto di lavoro quindi non può produrre effetti sino a che tale adempimento non venga effettivamente compiuto. La stessa cosa vale per la risoluzione consensuale.
Esiste poi un ulteriore caso di dimissioni senza preavviso, ovvero le dimissioni nel periodo di prova.

Durante il periodo di prova ciascuna delle due parti può recedere dal rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso. La volontà di recedere dal contratto deve essere comunque manifestata per iscritto mediante apposita lettera di dimissioni se il recesso è del lavoratore. In questo caso quindi le dimissioni avvengono in tronco, ma non è prevista alcuna indennità sostitutiva proprio perchè ci si trova durante il periodo di prova è non sono previste le dimissioni telematiche.
Il lavoratore dimissionario tendenzialmente non ha diritto all’indennità di disoccupazione NASPI in quanto questi tipi di prestazioni Inps hanno come presupposto la perdita volontaria del proprio rapporto di lavoro.
Tuttavia occorre precisare che in caso di dimissioni per giusta causa il lavoratore ha diritto all’indennità di disoccupazione, proprio perchè si presuppone che il lavoratore abbia rassegnato le proprie dimissioni non per sua volontà, ma per inadempimenti gravi del proprio datore di lavoro, nonché in caso di dimissioni anche volontarie durante il periodo di gravidanza o durante il primo anno del bambino (o di accoglienza del minore adottato o in affidamento).
Un’importante peculiarità delle dimissioni è che queste non possono essere rassegnate nei contratti a termine, se non per giusta causa o durante l’eventuale periodo di prova.

In caso di dimissioni volontarie nel contratto a tempo determinato, il datore di lavoro ha diritto ad essere risarcito dal danno procuratogli (la misura del risarcimento può essere concordata anche nello stesso contratto di assunzione). Il motivo è che il rapporto di lavoro a termine è stato probabilmente stipulato per una esigenza particolare dell’azienda.
Infine, vi sono le dimissioni per giusta causa, ovvero quando il lavoratore si vede costretto a dimettersi. Tale ipotesi ricorre in presenza di un’inosservanza del datore rispetto ai suoi obblighi contrattuali, talmente grave da non consentire la prosecuzione del lavoro durante il periodo di preavviso. Il dipendente può perciò richiedere l’interruzione immediata del rapporto senza dare il preavviso.
Questo tipo di dimissioni è giustificato e legittimato quando vi è un reiterato mancato pagamento dello stipendio (almeno tre stipendi), per omesso versamento dei contributi previdenziali, per molestie sessuali da parte del datore, in caso di mobbing, quando vi sia una pretesa del datore affinché il dipendente compia atti o condotte illecite, modificazioni particolarmente peggiorative delle mansioni, e in particolari casi di trasferimento della sede di lavoro.
Chiaramente, l’Inps richiede che il lavoratore dimessosi per giusta causa, persegua l’accertamento di tali illegittime condotte del datore di lavoro anche in sede giudiziaria.

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