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Infortunio sul lavoro o Malattia?

— Positività di un lavoratore al COVID-19

L’intervento legislativo d’emergenza non poteva non intervenire sulla disciplina degli istituti della “malattia” e del “infortunio sul lavoro” in caso di contagio di un lavoratore.
Chiaramente, l’intervento disciplina la situazione di tutti quei lavoratori dipendenti di attività che non sono stati oggetto di chiusura “coatta” al fine di limitare il contagio, nonché per i lavoratori alle prese con la riapertura della “ Fase 2”.
Pertanto, il DL “Cura Italia” e le successive circolari INPS e INAIL hanno delimitato il perimetro delle rispettive tutele e competenze in caso di positività al COVID-19 di un lavoratore dipendente sia del settore pubblico che del settore privato.
Nel caso in cui il COVID-19 venga contratto in occasione di lavoro, l’evento sarà considerato infortunio sul lavoro e al dipendente verrà applicata la tutela assicurativa pubblica a carico dell’INAIL, che si farà carico anche dei casi di quarantena e di permanenza domiciliare fiduciaria, in quanto comportanti assenza dal lavoro. In questo modo, la positività viene ricondotta alla causa violenta che è un elemento genetico dell’infortunio.
Viene tutelato ed inquadrato quale infortunio, anche il contagio avvenuto sul percorso casa-lavoro, ossia il cosiddetto “infortunio in itinere”.
La ratio di tale intervento è da rintracciare, probabilmente, nella volontà di costituire una tutela ad hoc per le figure dei medici, infermieri e di tutto il personale sanitario pubblico e privato, per i quali il rischio da contagio COVID-19 viene identificato come rischio ambientale specifico dell’attività lavorativa svolta o comunque come causa connessa alla stessa, e per i quali il rischio di contagio si presume, anche ove non possa essere provato dal lavoratore, in considerazione delle mansioni svolte.
Durante il c.d. “lockdown”, sono state diverse le categorie di lavoratori esposte al contagio che potrebbero usufruire di tale copertura, ossia tutte le categorie che hanno assicurato – e continueranno ad assicurarlo anche nella “Fase 2”- i servizi essenziali.
Chiaramente per i dipendenti del comparto medico sarà più facile accertare la connessione eziologica – quasi a livello di ipotesi presuntiva – tra la prestazione lavorativa ed il contagio, mentre per un addetto di un supermercato, l’onere della prova potrebbe essere più arduo.
Per gli altri lavoratori del settore pubblico e privato che contraggano il COVID-19 in circostanze non riconducibili all’attività lavorativa – naturalmente per quelle attività per il quale non è stata disciplinata chiusura coatta – i decreti d’emergenza hanno disciplinato che la quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva sia equiparata a malattia, ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non debba essere computata ai fini del periodo di comporto.
In tal caso, il medico curante deve redigere il certificato di malattia con gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva. Il “Cura Italia” applica tali disposizioni anche ai certificati di malattia trasmessi, prima della sua entrata in vigore.
Con le nuove disposizioni, la tutela di malattia Covid-19 non comporta oneri né a carico dei datori di lavoro né a carico dell’INPS, erogatore dell’indennità di malattia, in quanto il costo va imputato sulla fiscalità generale.

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