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Il Gender Pay Gap nel mercato del lavoro italiano

Il fenomeno del divario retributivo di genere tra uomo e donna

Il mercato del lavoro italiano, nelle sue molteplici sfaccettature, presenta un fenomeno che vede ogni anno lievi miglioramenti, ma che lo vedono posizionarsi tra i bassifondi delle classifiche europe in merito: stiamo parlando della differenza del trattamento economico tra uomo e donna, il c.d. Gender Pay Gap.

Questo fenomeno cronico della nostra società, è caratterizzato da due valori di giudizio, il GDP “grezzo” (basato sulla differenza media della retribuzione lorda oraria al lordo di tassazione e contribuzione) ed il GDP “complessivo” (che oltre al salario orario considera anche il numero medio mensile delle ore retribuite ed il tasso di occupazione femminile).

Per quanto riguarda il GDP “grezzo” i dati pubblicati dall’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – parlano di un divario pari al 5.6% per il 2018 e ciò vuol dire che, a parità di impiego, se un uomo in Italia guadagna un euro in un’ora, una donna guadagna 94.4 centesimi, dati che fanno del nostro paese uno dei più virtuosi in Europa, stante la media totale del 13,8%.

Passando al GDP complessivo, il nostro paese fa un grosso passo indietro: prendendo in considerazione altri fattori, come il gran numero di settori con prevalenza di personale femminile (nei quali le retribuzioni sono tendenzialmente più basse rispetto a settori a prevalenza maschile), il numero mensile delle ore retribuite, il numero dei lavoratori part time e il numero di donne in posizioni dirigenziali, ecco che la differenza salariale complessiva passa arrivando intorno al 44% su una media europea del 39%.

Questo notevole divario percentuale è direttamente proporzionato al numero di impiegati/e nel settore privato (dove la differenza salariale è più alta rispetto al pubblico) e alla differenza enorme tra il numero di uomini e quello delle donne in posizioni d’impiego che prevedono stipendi mediamente più alti.

Questo fenomeno, pertanto, affonda le sue radici in tre principali cause: retribuzione oraria inferiore, meno ore di lavoro retribuito, minore tasso di occupazione (ad esempio a causa di interruzioni di carriera per prendersi cura di figli o famigliari).

Le posizioni lavorative di gestione e supervisione sono ricoperte in larga maggioranza da uomini, che ricevono più promozioni rispetto alle donne, in tutti i settori, di conseguenza vengono pagati di più.

Questa tendenza raggiunge il culmine ai livelli più alti della scala lavorativa: gli ultimi dati ci dicono che meno del 8% dei dirigenti è una donna.

Inoltre, le donne si fanno carico di importanti compiti non retribuiti, quali i lavori di casa e la cura dei figli o famigliari, in proporzione maggiore rispetto agli uomini.

Basti pensare che i lavoratori uomini dedicano in media 9 ore a settimana ad attività non retribuite come la cura dei figli o famigliari o i lavori di casa, mentre le lavoratrici dedicano a tali attività 22 ore, ossia circa 4 ore al giorno: sul mercato del lavoro, tale differenza si riflette nel fatto che 1 donna su 3 riduce le ore di lavoro retribuite per richiedere un part-time, mentre solo 1 uomo su 10 fa lo stesso.

Le donne tendono a trascorrere più spesso periodi di tempo fuori dal mercato del lavoro rispetto agli uomini per motivi prettamente familiari e queste interruzioni di carriera influenzano non solo la loro retribuzione oraria, ma hanno anche un impatto sui loro guadagni futuri e sulla loro pensione.

Infine, vi è una segregazione nell’istruzione e nel mercato del lavoro: questo significa che in alcuni settori e occupazioni, le donne sono sovrarappresentate, mentre in altri sono sovrarappresentati gli uomini.

In alcuni paesi, alcune occupazioni sono prevalentemente svolte dalle donne, ad esempio l’insegnante o l’addetta alle vendite. Queste posizioni offrono salari inferiori rispetto a occupazioni prevalentemente svolte da uomini, a parità di livello di esperienza e qualifiche.

Nel nostro paese, ogni anno aumentano i contenziosi promossi da lavoratrici discriminate dal punto di vista retributivo rispetto a colleghi uomini impiegati nella stessa mansione ed inquadrati allo stesso livello, anche grazie alle attività di associazioni nate con lo scopo di sensibilizzare questa antipatico e cronico difetto della nostra società e del mercato del lavoro italiano.

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