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La NASpI e il “ticket” licenziamento

— Una disoccupazione molto salata

La NASpI e il “ticket” licenziamento

In uno dei nostri precedenti interventi (quando è possibile chiedere la NASPI) vi abbiamo spiegato come e quando è possibile accedere alla indennità di disoccupazione per i lavoratori subordinati.
Il principio cardine che bisogna ricordarsi quando si parla di NASpI è che essa spetti a quei lavoratori che si trovino in una situazione di disoccupazione involontaria, ossia siano stati licenziati dall’ultimo datore di lavoro o che si siano dimessi per giusta causa.

Ma quanto costa la disoccupazione di un ex dipendente al datore di lavoro?

Ogni datore di lavoro deve sapere che ogni risoluzione di un rapporto di lavoro ha un costo.
In particolare, esiste il c.d. “ticket NASpI”, introdotto originariamente dalla Riforma Fornero (art. 2, co. 31 della L. n. 92/2012), relativo all’obbligo per il datore di lavoro, nei casi di interruzione volontaria di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di corrispondere un contributo.
Tale importo è pari al 41% (82% per i licenziamenti in ambito collettivo) del massimale mensile NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
L’ammontare del “ticket NASpI” da versare dipende, pertanto, non soltanto dall’importo massimale della NASpI (che viene aggiornato annualmente in base all’indice Istat), ma anche e soprattutto dall’anzianità aziendale maturata dal dipendente.

Ma la NASpI è sempre dovuta?

L’indennità di disoccupazione spetta sempre e comunque quando sia il datore di lavoro a procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro, quindi anche se venga risolto per una condotta del dipendente in cui è rintracciabile la giusta causa di risoluzione.
Una pratica molto diffusa tra i dipendenti – nei casi in cui si voglia interrompere anzi tempo un rapporto di lavoro ma non si vuol perdere il sussidio – è quella di assentarsi volontariamente dal lavoro per diversi giorni, al fine di attuare una condotta disciplinare punita con il licenziamento disciplinare per giusta causa.
Anche in questo caso il dipendente, benchè si trovi in uno stato di disoccupazione in conseguenza di una sua azione volontaria, potrà formulare istanza di accesso all’indennità di disoccupazione ed il datore di lavoro – che non aveva altra scelta – dovrà versare il “ticket NASpI” all’ente previdenziale.

Che tutele può opporre il datore di lavoro costretto al versamento del “ticket NASpI”

Il datore di lavoro costretto ad un licenziamento come quello suindicato, si vedrà comunque costretto a versare la somma dovuta e prevista per legge all’ente previdenziale, la cui ratio è rintracciabile nell’obbligo del datore di sostenere il costo sociale della risoluzione del rapporto di lavoro da lui formalizzata.
Ciò non toglie, però, che il datore di lavoro costretto a licenziare un proprio dipendente perché assentatosi con il solo fine di veder risolto il proprio rapporto di lavoro e accedere all’indennità di disoccupazione, potrà trovare appiglio da quanto stabilito dalla sezione lavoro del Tribunale di Udine.
Invero, con la sentenza n, 106 del 30.09.2020, il Tribunale di Udine ha affermato che l’azienda indotta a licenziare il dipendente che – invece di dimettersi – si assenta ingiustificatamente per ottenere la NASPI, ha diritto a vedersi rimborsato l’importo pagato all’INPS a titolo di ticket licenziamento.
Il Tribunale di Udine ha rilevato che – in caso di assenza ingiustificata del dipendente, dallo stesso deliberatamente attuata al solo scopo di farsi licenziare – le spese sostenute dall’azienda per dare involontariamente corso alla decisione di recesso assunta dal lavoratore non possono che essere addossate a quest’ultimo.
Ed in particolare, la sentenza ha previsto che in presenza di una tale situazione, il dipendente deve rifondere alla società le somme da questa spese a titolo di ticket licenziamento.
Secondo il Giudice del lavoro del Tribunale di Udine, il c.d. ticket per il licenziamento è, infatti, un onere che la società – qualora si integri detta circostanza – deve sopportate esclusivamente perché il lavoratore, anziché dimettersi senza costi per l’azienda, la pone volutamente nella necessità di risolvere il rapporto.
Questo intervento del Tribunale di Udine sta facendo molto discutere, ma pone le basi per una discussione concreta in merito alla possibilità di accesso alla NASpI anche in casi in cui lo stato di disoccupazione non sia involontaria, ossia quando il dipendente, invece di dimettersi, si assenti volontariamente per diversi giorni al fine di ottenere un licenziamento disciplinare per giusta causa.

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